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n. 95 del 22 ottobre 2008

Data: 24/10/2008

Ma davvero la politica europea per l'energia e i cambiamenti climatici mette a rischio la competitività italiana?

Questa settimana vorrei fare qualche considerazione sul dibattito che si è aperto tra Italia e UE sulla politica europea in materia di energia e cambiamenti climatici.
In estrema sintesi, il governo Italiano, anche sulla spinta di Confindustria, ritiene alcuni degli obbiettivi su cui l'UE ha preso impegni all'unanimità al Consiglio di Berlino nel marzo 2007 eccessivamente onerosi e forse poco realistici, almeno per quanto riguarda la struttura produttiva Italiana già messa in difficoltà dalla crisi finanziaria e da seri rischi di recessione.
In particolare, il sistema delle aste a pagamento dei diritti di emettere gas ad effetto serra che l'UE vorrebbe estendere alla maggior parte dei grandi impianti fonti di emissione è considerata troppo costosa per l'Italia (anche in relazione al minor costo per altri Stati membri) e possibile fonte di delocalizzazioni e aumento del prezzo dell'energia. Difficilmente raggiungibile è anche considerato l'obbiettivo di ridurre del 13% le emissioni del 2005 entro il 2020 e di produrre il 17% di energia da fonti rinnovabili entro la stessa data.
I media hanno ampiamente riportato il dibattito con punti di vista molto diversi. Alcuni autorevoli editorialisti sono addirittura arrivati a parlare di nuova ideologia o religione verde dominante a cui nessuno ha il coraggio di opporsi; come se il legittimo timore che i comportamenti umani possano alterare – anche in modo irreversibile - i fragili equilibri dell'ecosistema fosse una specie di partito preso irrazionale e senza alcun fondamento scientifico.
Premetto che, salvo il rispetto degli accordi già assunti da Governi precedenti, per tutte le questioni aperte ogni Governo ha il diritto dovere di negoziare al meglio in sede europea quello che ritiene sia più conveniente per il proprio paese.
Mi è però sembrato che in molte delle posizioni emerse mancasse una visione più fiduciosa del futuro e delle potenzialità del sistema produttivo italiano visto nel suo insieme. Ad esempio, è probabilmente vero che gli obbiettivi europei considerati sulla base delle tecnologie attuali possono sembrare estremamente ardui. Ma il presupposto della politica europea è proprio quello di scommettere su un fortissimo rilancio della ricerca e dell'innovazione nel settore delle rinnovabili, dell'efficienza energetica e dello smaltimento o stoccaggio del CO2.
Secondo molti ricercatori nel giro di pochi anni alcune fonti pulite potrebbero (anche considerando la crescente scarsità del petrolio) diventare economicamente competitive con quelle tradizionali. Considerati i rischi, non solo economici, che corriamo con la nostra attuale dipendenza energetica, mi sembra che all'Italia possa convenire forse più che ad altri puntare con decisione su fonti alternative.

Carlo Corazza
Direttore della Rappresentanza a Milano

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