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n. 97 del 5 novembre 2008

Data: 06/11/2008

I risultati delle elezioni USA e il futuro dei rapporti Europa-America

Barack Obama sarà il 44° presidente degli Stati Uniti divenendo il primo presidente statunitense di colore. Pare cosi che, almeno in parte, il sogno di Martin Luther King stia divenendo realtà. Tutt'altro che un sogno sembra invece essere l'America che il nuovo presidente troverà iniziando il suo mandato.
La parola crisi sembra sovrastare ogni altra cosa e il mantra della necessità del cambiamento ripetuto negli ultimi mesi da Obama dovrà ora confrontarsi con tutta una serie di problemi molto urgenti e reali. Certo, mai come ora un mandato presidenziale sembra nascere politicamente forte, con una fantastica partecipazione al voto di oltre 130 milioni di persone e una vittoria netta, lontanissima dagli infiniti conteggi da cui risultò presidente il primo Bush junior. La speranza – alimentata anche dalla paura di un vero declino – ha trovato in Obama un forte catalizzatore di energia e i possibile autore di un possibile nuovo New Deal, un recovery programm, che possa risollevare le sorti economiche del paese.
Molti analisti hanno spesso sostenuto che, chiunque vinca negli Stati Uniti, i rapporti tra le due sponde, in fin dei conti, non cambiano mai più di tanto. Non so se questo è stato vero in passato. Nel caso dell'elezione di Obama e dei possibili futuri sviluppi dei rapporti USA-Ue, credo si possano fare alcune considerazioni.
Prima di tutto l'elezione di Obama rende l'America non solo meno lontana ma anche molto più comprensibile agli europei. E' opinione di molti analisti che uno dei fattori che più ha contribuito negli ultimi anni al crearsi e allo svilupparsi di una vera e propri opinione pubblica europea è stata l'elezione di Bush e molte delle sue scelte in politica estera e ambientale. La maggioranza degli europei non ha mai capito o accettato fino in fondo che una grande democrazia occidentale potesse liberamente votare un presidente sostanzialmente cosi lontano dalle nostre corde, specie se dopo il carismatico Bill Clinton a cui gli Europei avevano facilmente (forse troppo) perdonato il sexigate. La guerra in Iraq, fortemente contrastata dalla grande maggioranza degli europei, l'accentuato unilateralismo della prima amministrazione Bush, il no a Kyoto e ad azioni serie per lottare contro i cambiamenti climatici e, il forte sostegno alla pena di morte, hanno fatto il resto.
Il secondo mandato a Bush è apparso a molti europei ancora più inspiegabile del primo. Ci si è chiesto con quali criteri votassero gli americani e se davvero gli Stati più progressisti non fossero sostanzialmente ostaggi della cd America profonda del Texas o del Kentucky. Almeno per buona parte della nostra opinione pubblica le due sponde dell'atlantico si sono allargate.
E forse anche per questo gli europei hanno cominciato a diventare più esigenti (e più critici) sulla reale capacità dell'Europa di agire unita e di dare un suo contributo autonomo a una migliore governance globale.

Carlo Corazza
Direttore della Rappresentanza a Milano

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