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n.130 del 7 ottobre 2009

Data: 07/10/2009

L'Irlanda ha detto sì al nuovo Trattato dell'UE: cosa vuol dire?

I cittadini irlandesi hanno votato venerdì scorso a larga maggioranza a favore del Trattato di Lisbona, ribaltando l'esito di un'analoga consultazione tenuta poco più di un anno fa. Il significato di questo voto è importante e si può analizzare sotto (almeno) due punti di vista: quello della costruzione europea e quello dei cittadini europei.

Prima domanda: cosa significa questo voto positivo per il processo di costruzione europea? Insomma, per l'UE in quanto soggetto istituzionale e politico chiamato ad affrontare le nuove sfide della crisi e della globalizzazione? Il Sì irlandese rappresenta un passo in avanti importante per l'Europa. Esso elimina lo scoglio più alto rimasto nella navigazione istituzionale dell'Unione, partita oltre dieci anni fa da Nizza con un Trattato inadatto alle nuove sfide, e quasi arrivata a Lisbona attraverso, appunto, Dublino. Ci sarebbe piaciuto scrivere l'"ultimo" scoglio, ma purtroppo dei 27 Paesi che devono ratificare il testo per la sua entrata in vigore ne manca uno, quella Repubblica Ceca il cui Presidente Klaus continua a remare contro e a non sottoscrivere una ratifica già concessa dal Parlamento del suo Paese. Ma se per un attimo non consideriamo questo triste aspetto, diremmo che l'adozione del Trattato permetterà alle istituzioni dell'Unione di funzionare meglio, al Parlamento di aumentare i suoi poteri accrescendo così la democraticità del progetto, e all'Europa di agire con più forza in molti settori in cui ancora oggi sembra impotente (uno su tutti, d'estrema attualità: l'immigrazione).

E dal punto di vista politico? Si può dire che il sì irlandese realizzi il matrimonio tra l'Unione e i suoi cittadini, e quindi renda il progetto dell'Unione europea "popolare"? Non credo. Le ragioni del cambio di rotta degli irlandesi in un solo anno non mi sembrano legate direttamente alla bontà del progetto. Secondo alcuni le paure create dalla crisi hanno convinto gli irlandesi a non isolarsi e a ritenere l'Europa un'ancora di salvataggio. Noi siamo ovviamente convinti che sia così, per gli irlandesi e per tutti gli altri, compresi noi italiani. Ma un anno fa, per spiegare il no di Dublino, si diceva che la paura (dell'apertura economica e sociale) fosse alla base del "no", cosi come lo era stata nel caso dei "no" alla Costituzione in Francia e in Olanda nel 2005. Del resto, analoghi approcci quali localismo o protezione sono alla base di posizioni "euroscettiche" presenti anche in Italia, soprattutto nelle regioni più ricche del Nord. Forze contrarie all'approfondimento del progetto europeo dicono oggi, ad esempio, che "l'UE fa poco e male sull'immigrazione". Bene, con il Trattato di Lisbona l'UE potrà fare "molto e bene", sull'immigrazione e non solo. Basta che lo vogliano quelli che restano sostanzialmente i padroni del gioco, anche con Lisbona, ovvero i Paesi membri dell'UE e i loro Governi. Questi ultimi resteranno protagonisti fin quando non si realizzerà una vera Unione in senso federalista, completo: una prospettiva questa oggi molto ma molto lontana. Perché da che Europa è Europa (e qui è meglio eliminare gli elementi di confusione e parlare chiaro), l'Europa la fanno i Governi, spinti o frenati da alcune personalità più (esempio: i padri fondatori, Delors, o la coppia Kohl - Mitterrand per l'euro e più tardi la riunificazione) o meno "illuminate". Non l'hanno mai fatta i cittadini che, a parte appunto le élites, non hanno mai veramente "sentito" l'urgenza di una costruzione europea politica e forte.

Seconda domanda: cosa significa questo voto per tutti i quasi 500 milioni di cittadini dell'Unione europea, inclusi noi italiani? Molto più di quanto non immaginiamo, e in ogni caso di quanto non percepisca il cittadino comune attraverso il sistema di comunicazione nazionale...

Matteo Fornara
Rappresentanza a Milano

Di seguito potete leggere l'intero editoriale

Sito web: http://ec.europa.eu/italia/newsletters/milano/our_publications/n.130-7-10edi_it.htm#seconda_domanda


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