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Il marchio di origine per i beni importati deve esserci

Data: 22/01/2013

Lo ha ribadito il Parlamento europeo. Destinatari del messaggio sono la Commissione europea e il Consiglio. Muscardini: il mercato globale funziona solo con regole condivise. Susta: c'è un vulnus nei rapporti istituzionali.

Dario Colombo


18 Gennaio 2013


La norma (il regolamento) sulla presenza del marchio di origine per i beni importati da paesi extra-Ue c’è, approvata dall'istituzione democratica europea, dal 2010.
Si tratterebbe di metterla in azione, obbligatoriamente, come si fa con tutte le altre.
Invece la Commissione europea e il Consiglio sono renitenti.
Per questo motivo il Parlamento europeo ha criticato la decisione della Commissione di ritirare e ha chiesto una nuova proposta testuale. Lo ha fatto con una risoluzione, giocoforza non legislativa adottata per alzata di mano.

Cristiana Muscardini, relatrice per il dossier legislativo sul "made in", durante un dibattito con il Commissario per il commercio Karel de Gucht, ha rilevato come «il mercato globalizzato porta sviluppo solo se le regole sono comuni e condivise.L'Europa non può dirsi giusta verso i propri cittadini se non è capace di difenderne i diritti» e ha chiesto un incontro con Commissione e Consiglio per superare l'impasse.

Dato gli Stati membri non sono riusciti a mettersi d'accordo sull'indicazione del paese d'origine obbligatoria per i prodotti importati nell'Ue, quali abiti, scarpe e gioielli, il Parlamento europeo chiede che la Commissione europea trovi altre strade per garantire condizioni di parità tra le imprese dell'Ue e i loro concorrenti dei paesi terzi e la tutela dei consumatori.

In sintesi, gli eurodeputati ritengono che solo un'etichettatura con l'indicazione del paese d'origine di un prodotto può garantire una scelta consapevole da parte dei consumatori e sottolineano che nell'Ue non si applicano norme comuni sull'attestazione di origine delle merci importate, ad eccezione di determinati casi nel settore agricolo e che paesi quali Brasile, Canada, Cina e Stati Uniti già impongono tale obbligo su alcuni prodotti.

Senza marchio si penalizza l’occupazione nel manifatturiero
Secondo Gianluca Susta «oltre che violare gli interessi delle imprese manifatturiere europee di qualità e penalizzare l'occupazione, la proposta della Commissione europea di ritirare il regolamento sull'obbligatorietà del marchio d'origine sui prodotti dei paesi extra Ue rappresenta un grave vulnus nei rapporti inter-istituzionali col Parlamento europeo che, in sede legislativa, lo ha approvato a larghissima maggioranza nell'ottobre 2010 e che oggi ne ha riaffermato l'importanza».

Intesa con il Wto
Per Claudio Morganti «finora hanno prevalso le logiche de Paesi del Nord Europa, ai quali non interessa difendere il settore manifatturiero, che per noi rappresenta invece un'eccellenza, purtroppo continuamente messa a rischio dalla contraffazione che regna sovrana nel nostro mercato».
«Mi sembra - ha detto Morganti - che anche nell'ambito delle dogane, di cui si è discusso in plenaria, ci sia la volontà di qualcuno di remare contro marchi di qualità e garanzie di origine. Spero che il lavoro fatto in Parlamento non venga gettato al vento, ma si possa trovare un'intesa col Wto».

Sito web: http://www.europarlamento24.eu/01NET/HP/0,1254,72_ART_2295,00.html


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