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Banche, Parlamento europeo: depositanti ultimi a gestire i fallimenti

Data: 28/05/2013

Sì di Strasburgo al testo emendato sulle regole di risoluzione bancaria. I depositi bancari sotto i 100mila euro mai utilizzabili.

Antonio Pollio Salimbeni


21 Maggio 2013


(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Bruxelles

I depositanti con conti oltre 100mila euro devono essere "gli ultimi in linea" per salvare le banche (così come ovviamente i contribuenti) e quelli con conti inferiori a 100mila euro devono essere esclusi dalle operazioni di 'risoluzione' (gestione ordinata del fallimento).

È questo uno dei pilastri del testo emendato e approvato a Strasburgo dalla Commissione affari economici e monetari del Parlamento europeo.

Il testo cancella la possibilità di usare fondi dagli schemi di garanzia dei depositi per le operazioni di risoluzione.

L'Ecofin non ha ancora raggiunto un accordo sulla proposta della Commissione.

Ci si aspetta che lo raggiunga entro un mese in una forma che prefiguri già un possibile accordo con il Parlamento europeo.

In sostanza, il Parlamento europeo ritiene che debba essere definito con chiarezza il principio secondo cui i depositi bancari garantiti non devono mai essere usati per la risoluzione mentre i depositi non garantiti, cioè quelli sopra centomila euro, possono essere usati solo in ultima istanza.

In prima istanza il peso della ristrutturazione/fallimento deve ricadere su asset e creditori, mantenendo la gerarchia proposta dalla Commissione europea.

Proprio sulla gerarchia della ripartizione degli oneri sta proseguendo da settimane il negoziato all'Ecofin.

Il caso cipriota ha ampiamente dimostrato l'importanza di avere procedure chiare per garantire una gerarchia di assunzione degli oneri della risoluzione che parta dagli azionisti, prosegua con i possessori di obbligazioni e in ultima istanza, appunto, ai depositanti non garantiti.

Il regime di bail-in (così si chiama questo processo) dovrebbe essere istituito e in vigore al più tardi da gennaio 2016. In questo senso ci sarebbe una sfasatura rispetto ai tempi di avvio della vigilanza bancaria centrata sulla Bce (da metà 2014).

Nel testo adottato dalla Commissione affari economici, si prevede una seconda ultima istanza, cioè quando non ci sono più altri soggetti sui quali caricare gli oneri della risoluzione.

Si tratta del ricorso all'intervento pubblico (cioè in definitiva ai contribuenti): vi si può ricorrere solo dopo la svalutazione di tutto il capitale a zero e quando si tratta di evitare "effetti avversi significativi sulla stabilità finanziaria" o "per proteggere l'interesse pubblico quando la banca ha ricevuto precedentemente assistenza straordinaria di liquidità dalla banca centrale".

Il denaro pubblico in ogni caso deve essere usato solo in tre modi: garanzia per passività o asset, assumere una quota nella banca, il passaggio temporaneo alla proprietà pubblica totale della banca.

In ogni paese deve essere costituito un fondo di risoluzione finanziato dalle banche.

Dopo 10 anni dall'entrata in vigore della direttiva ogni fondo deve avere una capacità pari all'1,5% dell'ammontare dei depositi delle banche partecipanti.

Quanto alla solidarietà tra fondi nazionali, non è passata l'idea di renderla obbligatoria. Sarà possibile ma si tratterà di una scelta volontaria anche a fronte di una richiesta specifica. La questione della mutualizzazione della 'risoluzione' è uno degli aspetto più spinosi sia nella fase in cui funzioneranno i regimi nazionali di gestione dei fallimenti bancari, sia in prospettiva quando e se ci sarà un meccanismo unico a livello Ue.

La Commissione europea ha confermato che presenterà il mese prossimo una proposta. La Germania intende procedere in tale direzione solo attraverso una modifica del Trattato Ue accettando solo un quadro europeo di fondi e autorità nazionali 'a rete' proprio per evitare i rischi di mutualizzazione.


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