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Mamma, voglio fare il cooperante

Data: 05/02/2014

E’ il titolo di un libro scritto recentemente da un collega spagnolo che operando nel mondo delle ONG ha registrato una crescente domanda di giovani e non, che vorrebbero lavorare nel mondo della cooperazione. Certo la rilevazione è empirica e si basa sulle decine di curriculum che ogni giorno arrivano nelle caselle email delle nostre organizzazioni che ci sia o meno un posto vacante. Sono sempre di più i giovani interessati alla cooperazione internazionale, agli aiuti umanitari, alle tematiche dello sviluppo che vorrebbero lavorare per le ONG o le organizzazioni internazionali.

Il libro ha l’ambizioso obiettivo di rispondere a tutta una serie di domande e di falsi miti in modo semplice, chiaro e divertente per incoraggiare o scoraggiare coloro che desiderano avventurarsi in questa professione. Cos’è la cooperazione? Facendo il cooperante si guadagna? Ma cosa fa veramente un cooperante? E la cooperazione serve davvero?

A leggere il testo si capisce che il contesto spagnolo vive esattamente lo stesso momento storico che il settore sta affrontando nel nostro paese. E’ chiaro quanto la cooperazione internazionale e la realtà delle sue risorse umane si sia evoluta notevolmente negli ultimi anni, anche se resta sconosciuta alla maggior parte della società. Le organizzazioni che operano nei paesi in via di sviluppo o nei contesti di crisi umanitaria sono anch’essi sempre più diversificati come diverse sono le opportunità professionali del settore: co.co.pro, volontariato, consulenze, servizio civile, stage e tirocini. Non si tratta di percorsi professionali semplici da capire e codificati nel mercato del lavoro eppure sono sempre di più quelli che sognano di fare cooperazione.

Gli uffici risorse umane di diverse ONG internazionali confermano l’aumento del numero di curriculum ricevuti per ogni nuovo lavoro che viene pubblicato e la maggioranza dei candidati non hanno un profilo professionale in materia di cooperazione, poca o nessuna esperienza nel settore o studi dedicati. Sono quelli che vogliono cambiare vita, anche lavorativa, e che vedono nel settore della cooperazione un’opportunità di lavoro dove motivazione e buona causa possono essere un’alternativa stimolante, un modo diverso di vivere il lavoro con la speranza di fare qualcosa per un mondo migliore. Quante email di ingegneri, ricercatori, video-maker, fotografi, agronomi, geometri, insegnati arrivano ogni giorno alla ricerca di possibili collaborazioni anche gratuite per andare in Africa?

Eppure la professionalizzazione della cooperazione è la tendenza ormai degli ultimi 20 anni. Se durante gli anni ‘60-‘80 sono stati più spesso missionari e backpackers a collaborare con le ONG, dagli anni ’90 è cominciata la ricerca di profili professionali dedicati. L’aumento delle risorse economiche di quegli anni ha portato le organizzazioni a investire in strutture e professionalità e sono nati i primi corsi di studio dedicati nelle università e presso centri di formazione privati. L’offerta formativa sulla cooperazione è cresciuta esponenzialmente dagli anni 2000 ad oggi con lauree specialistiche e magistrali, master e corsi nelle più disparate nicchie professionali del settore (traduttori per la cooperazione, operatori di progetti idrici e sanitari fino ai recenti esperti di social media per la cooperazione).

C’è poi una nuova dinamica che si sta verificando soprattutto nei paesi più colpiti dalla crisi economica, un crescente interesse per le posizioni di lavoro da espatriato all’estero a causa della carenza di posti rilevanti e ben remunerati in Europa. Sono sempre di più quelli che scelgono di trasferirsi direttamente all’estero (spesso con famiglia) alla ricerca di un lavoro nella cooperazione.

Eh sì, ci si è messa la crisi negli ultimi anni e i tagli dei fondi governativi a mettere in ginocchio decine di organizzazioni del non profit e tra queste un numero considerevole di ONG.
Oggi come mai è chiaro che la domanda di persone in cerca di un lavoro nel campo della cooperazione internazionale, sia pagato che non, è di gran lunga superiore alle reali opportunità del mercato. Più che annunci di lavoro nelle ONG si contano i licenziamenti, le richieste di cassa integrazione e la firma di contratti di solidarietà.


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