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n. 58 del 24 ottobre 2007

Data: 24/10/2007

La lezione di Lisbona

Di fronte alle decisioni emerse dal vertice di Lisbona si possono prendere due atteggiamenti, diametralmente opposti.
Il primo è quello dei realisti. Non si poteva fare di più o dopo l’impasse degli ultimi anni, susseguenti alle bocciature francese e olandese, ogni soluzione che “ sbloccasse” la situazione e facesse ripartire la macchina andava bene. E quindi le concessioni e le eccezioni sono state un prezzo da pagare, adeguato e inevitabile, per ottenere l’accordo di tutti.
Ovviamente questo atteggiamento riflette una lunga esperienza di vita comunitaria che sconta i tanti stop and go della costruzione europea. Dopo ogni crisi c’è sempre stata una ripartenza, benchè ad un livello più basso di quello auspicato.
A volte si tratta di reculer pour mieux suater come, in fondo, successe anche all’epoca del progetto spinelliano quando da quelle alte ambizioni scaturì “solo” il trattato di Maastricht : molto meno di quanto avrebbe voluto il patriarca del federalismo europeo, ma molto più di quello che si immaginava il decennio precedente.
Il secondo atteggiamento è quello degli inguaribili idealisti-europeisti. Ed è marcato da una profonda delusione per tutti i passi indietro compiuti rispetto alla precedente versione del trattato, per la concessione a chiunque alzasse la voce di una eccezione o di una deroga e infine, last but not least, per l’ eliminazione dei simboli ufficiali dell’Unione europea.
Il clima che si è respirato a Lisbona non era quello di un impegno per il futuro, di un investimento verso qualcosa da rifondare, ma quello tipico delle retroguardie, del guardarsi le spalle per mantenere e rafforzare le proprie, nazionali, posizioni.
Questo clima dovrebbe far riflettere i governanti più euro-fili, se ancora ce ne sono, per convincerli a passare ad una azione concertata, avendo chiaro che di fronte si sta profilando una “coalizione di neghittosi”, con il piede sempre pronti sul freno.
Agire un ordine sparso significa perdere terreno sul piano dell’integrazione. E su questo realisti e ottimisti possono tranquillamente convenire.

Piero Ignazi
Professore di Politica Comparata
Università di Bologna


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