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Superare divisioni e competizione, questa la sfida delle ONG nel 2016

Data: 08/01/2016

A guardarlo nei primi giorni del 2016, il settore dello sviluppo internazionale si trova in una situazione un po’ strana. E’ da sempre costituito da una grande varietà di organizzazioni, grandi e piccole, radicali e conservatrici, ma a mia memoria non riesco a ricordare una situazione più divisa, eterogenea di quella odierna. Con poche eccezioni (per esempio, le recenti campagne in materia fiscale e sui cambiamenti climatici) la maggior parte delle organizzazioni della società civile sembrano occupate a fare le loro cose, in competizione per i fondi come mai fino ad oggi. In un settore teoricamente non-profit, la filosofia di mercato è ormai dominante. Stiamo raggiungendo il culmine di anni di evoluzione da organizzazioni vicine alle comunità a organizzazioni vicine ai donatori, con conseguenze logiche. Ma questa situazione è aggravata da altre ragioni, sia nazionali che internazionali.

Il pubblico e i media sembrano più scettici del solito nei confronti delle ONG e di questo settore che fino a ieri era sempre stato considerato altamente attendibile. Questa è, a mio avviso, una conseguenza della recessione economica e dell’austerity, e forse, anche una maturazione della comprensione da parte del pubblico del ruolo delle charity internazionali che per tanti anni sono state tenute su un piedistallo.

Altrettanto importanti, e forse ancora più profonde, sono le differenze generate dall’analisi del contesto internazionale, che si possono riassumere con una semplice domanda: le cose stanno andando meglio?

Da un lato, la maggior parte degli indicatori sulla povertà estrema registrano importanti progressi negli ultimi dieci anni. Queste buone notizie smorzano le critiche radicali stile anni 80 e 90, che in quel contesto politico avevano consentito alle ONG un discreto successo di advocacy. Era un momento in cui le cose andavano male. Oggi che le cose migliorano la maggior parte delle organizzazioni si limitano a richiedere aggiustamenti e miglioramenti, non è più il tempo delle grandi sfide.

Ma c’è anche un’altra analisi. Senza negare gli importanti progressi sulla povertà estrema, molti dati fondamentali sembrano invece volgere al peggio (disuguaglianze interne, cambiamento climatico, insicurezza) il che significa che i miglioramenti economici non sono realmente sostenibili. Ecco allora che diverse organizzazioni hanno iniziato ad attivare importanti campagne sul commercio, la produzione, i sussidi agricoli, il commercio di armi, il debito, solo per citarne alcune. Inutile dire che questi problemi sono più equivoci rispetto alle questioni più fotografabili come la povertà, la fame, gli aiuti e quindi è più difficile ottenere l’attenzione del grande pubblico.

Niente di nuovo quindi, ma oggi c’è più incertezza del solito. Il settore delle ONG entra nel 2016 senza una vera direzione univoca. I fattori che lo dividono sono invece molto forti, dal mercato del fundraising allo spazio sui media, dal posizionamento politico all’analisi del contesto internazionale.
Quindi che fare? La risposta è semplice, anche se la sua attuazione non sarà facile. Per superare le divisioni, e per costruire una comprensione più condivisa di che cosa sta andando bene o male nel mondo, le organizzazioni del settore, e le persone che compongono queste organizzazioni, dovrebbero raddoppiare gli sforzi per lavorare insieme, per incontrarsi e costruire un fronte comune.
Bisogna smetterla con la tendenza sfavorevole del settore di criticare le altre organizzazioni. La realtà è che molte persone che lavorano nella cooperazione passano da un’organizzazione all’altra ma tendono a essere leali, non tanto alle singole organizzazioni quanto alla loro missione, la loro visione di un mondo migliore, una visione che, in generale, è condivisa da tutte le organizzazioni del settore.

Invece di competere per i fondi, per lo spazio sui media o per l’attenzione di un VIP, le ONG dovrebbero guardare oltre se stesse e valutare l’importanza del settore nel suo complesso, centinaia di realtà originali che hanno bisogno di essere nutrite insieme, con ruoli diversi da svolgere; dalle posizioni più radicali a quelle moderate che cercano di parlare a un pubblico più ampio e meno militante.


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