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Responsabilità sociale d'impresa: Europa ancora al bivio

Data: 02/10/2012

Sul tema ci si divide fra volontarietà e obbligatorietà. Le opinioni dei nostri europarlamentari. Cofferati: Csr non è reputazione. Muscardini: il problema sono i paesi mercantili. Rossi: va tutelata la concorrenzialità. Toia: importante fare il primo passo.

Dario Colombo


28 Settembre 2012


La comunicazione della Commissione europea al Consiglio e al Parlamento europeo sulla strategie per il periodo 2011-2014 in materia di Responsabilità sociale delle imprese fra poco compie un anno.
Come sempre accade, il testo è arrivato al Parlamento Europeo ed è, per competenza, entrato nei lavori di due Commissioni parlamentari.
In una, in particolare, la Affari giuridici (Juri), Sergio Cofferati è relatore ombra del testo.
Intervenendo alla giornata della Responsabilità sociale d'impresa (all'inglese, Corporate social responsibility, Csr) organizzata dalla Provincia di Milano, Cofferati ha ammesso come «la discussione sia iniziata da poco nelle due commissioni interessate. La proposta ha scaturito reazioni contrastanti, anche se mediamente è condivisa».
Nel testo del 2011, ha osservato, sono stati introdotti i temi dei diritti umani e dei consumatori e la cosa ha riscosso attenzione. Contrasti, però, «vi sono sui nodi che la forma storica della Csr ha portato con sé».

La scusa della crisi
Quello storico è la volontarietà versus obbligatorietà. «Se, come prevedibile - ha osservato Cofferati - non si sceglierà un percorso condiviso, rimarranno le ambiguità».
E poi c'è il “ricatto” della crisi: le aziende si sentono motivate a non perseguire la responsabilità sociale, «come se la virtù potesse essere praticabile solo se l'economia lo consente».
La Csr, insomma, secondo Cofferati per poter funzionare non deve essere considerata un lusso.

Si fanno troppi bei rapporti per la reputazione
E un altro aspetto è il ruolo dei cosiddetti stakeholder, che non vogliono certificarsi, che sia la storia dell'azienda o le norme a farlo.
«Pesa su tutto - ha detto esplicitamente Cofferati - che l'adozione delle regole di Csr viene fatta soprattutto per comunicazione».
Tanti bei rapporti, voluminosi, a volte accompagnati da azioni poco edificanti. Pensiamo alla catena dei subappalti nel settore dell'abbigliamento, che porta dritta al lavoro minorile, alla violazione dei diritti da umani.
«La sola reputazione - ha detto ancora - non è la conclusione della Csr». E se si sceglie la strada della volontarietà «servono anche verifiche e sanzioni, che devono essere esemplari. Ma si deve avere anche un sistema premiante: chi si rende disponibile abbia dei vantaggi».
Uno scenario che non deve scoraggiare, quindi, ma che non è limpido, quello tratteggiato da Cofferati.

La tirannia mercantile
E per Cristiana Muscardini il problema è che l'Europa sta facendo differenze fra paesi produttori e importatori. Il fatto di aver inserito nella comunicazione il parere dei consumatori è fuorviante. «Il Parlamento europeo - ha ricordato - già da due anni ha detto chiaramente che i consumatori devono essere informati sulla provenienza dei prodotti. Ma il Consiglio, pronuba la Germania e i paesi nord europei, di fatto non vuole che ciò accada. Quindi viene a mancare la base del ragionamento».
Poi, per Muscardini, vanno chiarite meglio le responsabilità sia della grande impresa, sia di chi deve esercitare i controlli su di essa (vedi caso Ilva).
E non sia esente dalla Csr nemmeno il settore delle costruzioni, come chi autorizza a costruire su terreni contaminati.
Oneste vivere, ha chiosato Muscardini, «deve essere la prassi per chiunque. Serve una rivoluzione culturale in questo senso. Quindi, su certi temi, serve l'obbligatorietà. Anche per difendere l'economia reale dall'influenza nefasta di quella virtuale».

Volontaria od obbligatoria, competitività e visione
Per Oreste Rossi «il testo della Commissione europea si perde dopo un buon inizio e se passasse così com'è creerebbe un problema di competitività in Europa. Vanno distinti gli obblighi di non inquinare da quelli di far vivere meglio sul territorio. Ma se lo facciamo per legge non funziona».
Per Rossi, quindi, la Csr dovrebbe essere su base volontaria. «Se obbligatoria - ha detto - lo deve essere per tutti, europei e paesi terzi, altrimenti si creano ulteriormente condizioni di concorrenza sleale in cui la Ue, storicamente, perde».

Sito web: http://www.europarlamento24.eu/01NET/HP/0,1254,72_ART_2160,00.html


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