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Data: 28/04/2014

Per cominciare, spero che avremo visto il passaggio a misure di output (basate sui risultati), come quelle che possono essere incorporate già oggi negli obiettivi di sviluppo sostenibile post-2015. Nel bene o nel male, gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio hanno inaugurato un nuovo modo di approcciare il finanziamento dello sviluppo. Ora abbiamo bisogno degli MGD’s 2.0 che dicano “non è una questione di soldi”, una sorta di impegno per affrontare le principali sfide dello sviluppo sostenibile, che comporti impegni reali dei donatori e coinvolga ovviamente una serie di altri attori, le organizzazioni della società civile, le aziende e i governi dei paesi in via di sviluppo. Nonostante i limiti di un approccio basato sugli obiettivi, potrebbe tuttavia contribuire a spostare l’attenzione della cooperazione dagli aiuti ai risultati, e ampliare il coinvolgimento al di là dei soliti governi donatori consolidati.

Mi auguro che nel 2030 l’obiettivo prioritario della comunità della cooperazione sia combattere le disuguaglianze così come fino a oggi è stato quello di porre fine alla povertà estrema. Purtroppo è probabile che anche nello scenario più ottimistico, ci sarà ancora un gran numero di persone che vivranno in estrema povertà, quindi anche il focus sul miglioramento della vita di queste persone dovrà essere mantenuto. Tuttavia, poiché la disuguaglianza economica rischia di diventare una spirale fuori controllo, un obiettivo altrettanto importante della cooperazione dovrebbe essere la promozione della parità. Con un mondo in cui le 85 persone più ricche detengono più ricchezza della metà più povera della popolazione mondiale, potemmo anche vincere la lotta contro la povertà, ma stiamo perdendo la guerra contro la disuguaglianza.
Ciò richiederà un cambiamento fondamentale dal paradigma degli aiuti, dovremmo guardare ai problemi attraverso la lente della giustizia sociale, a partire dal cambiamento climatico. Proteggere i poveri del mondo dagli effetti disastrosi dei cambiamenti climatici non può essere una questione di ripartizione dei finanziamenti pubblici. Se David Cameron pensa che “non è una questione di soldi” quando si tratta delle vittime delle inondazioni nel Regno Unito, lui e i suoi colleghi leader mondiali (compresi i dirigenti d’azienda) devono pensare nella stessa maniera per tutte le persone colpite nel mondo da condizioni climatiche estreme.

Infine, spero che entro il 2030, non si parlerà più di ‘”donatori”. Ora è già possibile vedere i limiti di questa categoria che con l’avvento dei nuovi attori dello sviluppo diventerà ancora più obsoleto. Forse il migliore indicatore di una trasformazione di successo nel settore della cooperazione sarà se il termine “donatore” diventasse privo di significato come succede oggi se si parla di “blocco comunista” o “Impero Britannico”.
Per arrivare a qualcosa di simile allo scenario qui descritto, avremo bisogno di una trasformazione altrettanto radicale delle istituzioni e dei processi che abbiamo a nostra disposizione. Oggi, abbiamo una serie di istituzioni economiche internazionali che sono state pensate nel 1930, che difficilmente riflettono la geopolitica contemporanea e che sono eccessivamente statalisti nel loro approccio. Queste istituzioni arcaiche sono state create su un presupposto di superiorità dei paesi ricchi e oggi hanno bisogno di una riforma urgente. Allo stesso modo, le norme che disciplinano l’APS devono essere revisionate o abbandonate del tutto (anche se vedo rischi in quest’ultima soluzione). Abbiamo bisogno di un più radicale cambiamento, più rapidamente.

Articolo di Dhananjayan Sriskandarajah, Segretario Generale di CIVICUS, pubblicato da Global Policy e parte della pubblicazione ‘The Donors’ Dilemma: Emergence, Convergence and the Future of Aid’.


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