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La nuova cooperazione parla la lingua del business

Data: 14/07/2014

Equity, loans, blending, capital risk, leverage, bond, mezzanine. Questi sono solo alcuni dei termini del mondo finanziario che sembrano destinati a entrare nel vocabolario della cooperazione allo sviluppo. In questo periodo di passaggio dagli Obiettivi del Millennio fissati nel 2000 alla nuova agenda per lo sviluppo sostenibile in arrivo per il 2015 i policy maker guardano infatti all’economia e alla finanza; il concetto mainstream del momento è “Gli aiuti pubblici allo sviluppo non bastano per ridurre la povertà nel mondo, servono strumenti finanziari che coinvolgano il settore privato”.
Da un lato l’Unione Europea lo ha già messo per iscritto nei suoi documenti programmatici del periodo 2014-2020 e si appresta ora a mettere in campo strumenti tecnici e finanziari ad hoc. In Italia si prepara la strada conla riforma della legge 49 sulla cooperazione che apre al settore privato e al coinvolgimento degli istituti finanziari. Il vice Ministro Pistelli si spinge oltre ipotizzando la nascita in tempi brevi di una Banca Italiana per lo Sviluppo in seno alla Cassa Depositi e Prestiti, entità che potrebbe rappresentare lo strumento finanziario adatto a mobilitare gli investimenti pubblico privato.

Ma di cosa stiamo parlando esattamente? Come funzionerebbe quest’alleanza tra governi, aziende e finanza per sconfiggere la povertà? C’è davvero un ruolo anche per la società civile e le ONG dentro questo disegno?

Pubblichiamo di seguito un interessante articolo pubblicato recentemente da Afronline.org che può aiutaci a capire il fenomeno e farci un’opinione a riguardo.

Cooperazione allo sviluppo dell’UE: Benvenuti nell’era del Blending

Alla vigilia dell’incontro a Firenze dei ministri europei dello sviluppo nell’ambito della Presidenza italiana dell’UE, Afronline.org ha pubblicato un dossier sulla nuova narrativa della cooperazione allo sviluppo dell’UE che si concentra sul portare il settore privato al centro delle sue strategie di sviluppo. Questa rivoluzione silenziosa può essere riassunta in una sola parola: blending.

E’ una rivoluzione silenziosa, ma irreversibile, scattata circa sette anni fa alla vigilia della crisi dei subprimes, ed è come se Bruxelles avesse fiutato l’aria pessima che stava tirando sull’economia mondiale e i danni devastanti che questa crisi avrebbe provocato per le casse degli Stati membri dell’Unione, con il rischio di intaccare uno dei suoi più grandi successi in materia di politica estera: la cooperazione allo sviluppo.

Di fatti, nonostante l’Unione Europea sia sempre rimasta il primo donatore al mondo, le statistiche dell’Osce hanno poi dimostrato cali significativi degli aiuti pubblici allo sviluppo (Aps) dei paesi europei tra il 2010 e il 2012, passati dallo 0,46% del Pil allo 0,42%. Percentuali ben lontane dagli impegni presi dall’Ue nel 2005 di raggiungere entro il 2015 la fatidica soglia dello 0,7% fissata negli Obiettivi del Millennio.

Secondo CONCORD, la Confederazione europea delle ONG umanitarie e di sviluppo “gli Stati membri dovrebbero mobilitare ulteriori € 41 mln per raggiungere l’obiettivo”. Si tratta di un segreto di pulcinella, ma a Bruxelles tutti sanno che gli aiuti pubblici non sono sufficienti per sradicare la povertà nei paesi in via di sviluppo. Ecco perché nuove forme di finanziamento entrano in gioco, che coinvolgono il settore privato, in una parola: blending.

Un mix di grants e loans

Il blending è un meccanismo che lega un componente di sovvenzione a dono del bilancio dell’UE, del Fondo europeo di sviluppo (FES) e degli Stati membri, con prestiti o equity di istituti di proprietà pubblica e finanzieri privati, accreditati dalla UE.

La Commissione europea punta molto sul blending per la sua capacità di fare lievitare i fondi disponibili partendo da una piccola componente a dono, che consenta di generare un effetto moltiplicatore attraverso i prestiti, così da permettere all’Europa di ridurre il budget destinato direttamente alla cooperazione. Ciò è in linea con il cosiddetto “fare di più con meno”, la strategia dell’UE è stato costretto a causa di tagli di bilancio.I fondi ottenuti sono utilizzati dalle istituzioni finanziarie per realizzare azioni di sviluppo su iniziativa di imprese e governi locali.


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