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Data: 14/07/2014

Questo può avvenire solo dopo la valutazione da parte di un organismo tecnico composto da istituzioni finanziarie (e presieduto dalla Commissione europea o da istituzioni finanziarie di sviluppo), e approvati dalla Commissione europea e dagli Stati membri in un operation board. Al di sopra, un board strategico presieduto da UE e Stati membri che fornisce la direzione politica sulla quale dovrebbero essere assegnati i grant. I progetti finanziati sono regolati all’interno di otto strumenti regionali, le cosiddette “Eu blending facilities”: Africa, America Latina Caraibi, Pacifico, Asia, Asia Centrale, Balcani occidentali e regione del Vicinato (Europa dell’Est, Nord Africa e Vicino Oriente). La componente a dono può essere utilizzata per diminuire i tassi d’interesse dei prestiti contribuendo in tal modo a ridurre l’indebitamento del Paese beneficiario.

I sostenitori del blending sottolineano altresì come i grants incentivino l’accesso del settore privato, in particolar modo le piccole e medie imprese, verso mercati rischiosi coprendo i rischi di capitale. Ancora, tra i vantaggi sbandierati si evoca la capacità di rafforzare il coordinamento tra donatori ed istituzioni finanziarie a beneficio dell’efficienza dell’aiuto allo sviluppo dell’Ue, e quindi della lotta contro la povertà, il vero obiettivo della Commissione europea.

Il Blending è parte dell’Agenda for Change lanciata dall’UE nel 2011, che definisce un approccio più strategico “per sviluppare nuovi modi per coinvolgere il settore privato, in particolare al fine di sfruttare l’attività e le risorse del settore privato per la realizzazione di beni pubblici”. L’Ue “dovrebbe esplorare grant e meccanismi di condivisione del rischio per catalizzare partenariati pubblico-privati e investimenti privati”.

Più di recente, la Commissione Europea ha adottato un documento politico – la cosiddetta “comunicazione” – che conferma le nuove ambizioni dell’UE con i suoi paesi partner. “Il settore privato fornisce circa il 90 % dei posti di lavoro nei paesi in via di sviluppo, ed è quindi un partner essenziale nella lotta contro la povertà”, sottolinea il documento. “E ‘necessario anche come investitore nella produzione agricola sostenibile se il mondo vuole davvero soddisfare la sfida di nutrire 9 miliardi di persone entro il 2050. In molti paesi in via di sviluppo, l’espansione del settore privato, in particolare micro, piccole e medie imprese, è un potente motore di crescita economica oltre che la principale fonte di creazione di posti di lavoro”.

Sino ad ora, i doni canalizzati nel blending sono stati utilizzati per coprire investimenti diretti (41% dei grants tra il 2007 e il 2012), l’assistenza tecnica (32%) e il contributo in conto interessi (19%). A conferma delle ambizioni della Commissione europea, un rapporto pubblicato dallo European Network on Debt and Development (Eurodad) sostiene che «i grants allocati attraverso il blending sono passati da 15 milioni di euro nel 2007 a 490 milioni nel 2012», con oltre 300 progetti approvati tra il 2007 e il 2013.
La stessa Commissione afferma che a fronte di 1,2 miliardi di euro di aiuti provenienti dal budget multilaterale Ue dagli Stati Membri e dal Fondo Europeo per lo Sviluppo (Fes), si sono ottenuti dalle istituzioni finanziarie prestiti per circa 32 miliardi di euro, finanziando progetti per oltre 43 miliardi.
L’intesse suscitato da questo strumento è tale che «in futuro potrebbe coprire fino a un terzo degli aiuti allo sviluppo», assicura Florian Kratke, policy officer allo European Centre of Development Policy Management (Ecdpm), influente think-tank con sede a Bruxelles con una forte esperienza nel campo della cooperazione allo sviluppo.

di Joshua Massarenti e Evelina Urgolo – Afronline.org (traduzione a cura di redazione)


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