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Data: 03/12/2014

Art. 16. Consiglio nazionale per la cooperazione allo sviluppo, comma 2: “Il Consiglio nazionale, strumento permanente di partecipazione, consultazione e proposta, si riunisce almeno annualmente su convocazione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale o del vice ministro della cooperazione allo sviluppo, per esprimere pareri sulle materie attinenti la cooperazione allo sviluppo ed in particolare sulla coerenza delle scelte politiche, sulle strategie, sulle linee di indirizzo, sulla programmazione, sulle forme di intervento, sulla loro efficacia, sulla valutazione”.

Tutta questa attenzione alla valutazione d’impatto probabilmente si può attribuire a due fattori principali: da un lato, la crisi economica (di un intero sistema), che ha spinto tutti i soggetti a vario titolo coinvolti (Pubblica Amministrazione, finanziatori, privato sociale, realtà profit) a chiedere maggiore efficacia nelle spese e che questa efficacia fosse dimostrabile in modo trasparente e condiviso; dall’altro, una maturazione complessiva del Sistema Italia, molto centrata sull’accountability agli occhi sia dei finanziatori sia degli stakeholders e che si sta lentamente ma progressivamente muovendo verso una multistakeholder strategy, dove anche il privato for profit avrà un ruolo sempre più forte.
Il ritardo che scontiamo in Italia in questo ambito è sotto gli occhi di tutti (se si escludono poche realtà di eccellenza), così come l’urgenza di definire metodologie trasparenti e condivise di valutazione (ma con strumenti e attori specifici, localizzati). Se i finanziamenti (si pensi anche a tutto l’ambito della finanza privata e alle Pubbliche Amministrazioni che si stanno orientando sui cosiddetti social impact bond) saranno collegati alla capacità di dimostrare il reale cambiamento prodotto in termini di sviluppo, welfare e risparmio (a livello di costi economici e sociali), dall’altro occorrerà però che la valutazione possa dotarsi di risorse (economiche e umane), metodologie e strumenti adeguati a un obiettivo così strategico.
La complessità del tema e la sua urgenza generano tutta una serie di domande a cui non è affatto semplice rispondere, ma che occorrerà affrontare se non si vuole trasformare la valutazione d’impatto sociale in qualcosa di inutile, eccessivamente oneroso, imposto (calato dall’alto) e, alla fine, dannoso.
Alcune domande possono aiutare a cogliere la complessità:
1. Chi lavora per migliorare le condizioni di vita di altre persone ha a che fare innanzitutto con relazioni e “beni immateriali”, che spesso esplicano i loro risultati solo nel medio-lungo periodo: come è possibile misurare in modo sensato e in tempi utili questa tipologia di cambiamento? Attraverso quali strumenti e indicatori?
2. Chi finanzia la valutazione d’impatto sociale? Quale percentuale del budget deve esserle dedicata?
3. Chi forma i “valutatori”? Sulla base di quali teorie e metodologie?
4. Ogni realtà (pubblica, del privato sociale o for profit) ha caratteristiche peculiari e si muove su territori con caratteristiche uniche: come è possibile giungere a metodologie e indicatori di valutazione condivisi a livello regionale, nazionale ed europeo? Sono sufficienti criteri quali “validita`”, “comparabilita`”, “economicita`” e “trasferibilita`”?
5. Chi è responsabile della valutazione? Che ruolo hanno gli stakeholders nella definizione e nella valutazione degli obiettivi (focus, priorità) e degli indicatori specifici di ciascun progetto o programma valutato?
6. Se una valutazione di impatto sociale evidenziasse risultati negativi, quali saranno le conseguenze sulle realtà valutate?
7. Di chi è la responsabilità del non raggiungimento degli obiettivi di cambiamento? Esistono vincoli, fattori esterni e di contesto rilevanti?
8. Se un progetto non ha uno storico, come è possibile stimare preventivamente l’impatto che tale progetto andrà a realizzare?
9. Quale sinergia fra una valutazione d’impatto sociale e le normali attività di monitoraggio?
10. La valutazione di impatto sociale può migliorare le scelte strategiche di una ONG (di un’impresa sociale, di un Ente Locale… ) dal punto di vista della programmazione, del posizionamento e della raccolta fondi? Se sì, a quali condizioni?
Lungi dal cercare soluzioni semplici o preconfezionate, occorrerà un lavoro (in parte già iniziato) di sperimentazione e di condivisione di processi e risultati, nel quale ognuno dei soggetti territoriali coinvolti, dal livello locale a quello internazionale, dovrà essere chiamato a fare la sua parte.


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