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La nostra intervista a Laura Frigenti: l’Agenzia sarà una macchina operativa efficiente

Data: 09/12/2015

Nelle due settimane successive alla nomina al vertice dell’Agenzia per la cooperazione molti lettori ci hanno scritto per sapere di più su Laura Frigenti, candidata outsider che è riuscita a sbaragliare la concorrenza di 131 contendenti alla carica di direttore. Al di la del suo importante curriculum, pochi sanno qualcosa di Laura Frigenti, anche perchè da oltre vent’anni lavora all’estero, prevalentemente negli States. Una donna di grande esperienza nel settore dello sviluppo internazionale che però nessuno di noi ha mai sentito parlare alle decine e decine di conferenze che hanno accompagnato la lunghissima fase di riforma della cooperazione italiana. Bisogna dirlo, la sua è stata una nomina inattesa che in molti nel nostro settore fanno ancora fatica a digerire. Ma la maggior parte degli operatori della cooperazione apprezzano proprio questo aspetto e si attendono da Laura Frigenti un approccio nuovo e ambizioso per la cooperazione italiana che sappia andare al di la delle dinamiche politiche e diplomatiche e riesca a guardare oltre il piazzale della Farnesina. Ecco cosa ci ha detto sull’Agenzia, sul futuro della cooperazione e delle ONG.

In Italia ci sono circa 250 ONG e almeno 1500 associazioni e gruppi che si occupano prevalentemente di cooperazione allo sviluppo e solidarietà internazionale. Il lavoro del nostro blog, rivolto a tutte le persone interessate a vario titolo (lavorativo e/o volontario) alla cooperazione, ci mostra numeri sorprendenti e una miriade di realtà sparse per il paese. La crisi economica e la riduzione progressiva dell’investimento pubblico sulla cooperazione degli ultimi cinque anni ha messo a dura prova questo tessuto di società civile. Per alcuni osservatori l’esistenza di così tante realtà è un valore aggiunto nel contesto italiano e rappresenta una storia di successo, per altri è il motivo principale della crisi del settore e della difficoltà di rilanciare la cooperazione in Italia. Cosa ne pensa? Percepisce il valore aggiunto o la criticità?

Io ho avuto per anni l’opportunità di vedere il lavoro degli organismi non governativi Italiani, e più in generale globali, sul campo e posso dirle che ho sempre pensato che la maggior parte dell’innovazione sia nell’area del service delivery che nella creazione di opportunità economiche venga da li. La molteplicità di organismi operanti è una ricchezza che va preservata, perché contribuisce a questo spirito di creatività. Allo stesso tempo credo sia importante che le ONG pensino alla diversificazione delle fonti di finanziamento. Nella mia esperienza di lavoro con le NGO americane ho potuto vedere che esse traggono parte della loro grande forza dalla capacita di attrarre risorse ed investimenti privati, sia individuali, che filantropici, che altro. E’ proprio da questa molteplicità di fonti finanziarie, in particolare dal rapporto diretto con le comunità che rappresentano, che traggono la loro forza nei confronti delle forze politiche e del potere esecutivo. Io spero che ci sia un ruolo che l’Agenzia può giocare per rafforzare questo processo di diversificazione.

Il concetto e il ruolo delle ONG sta evolvendo e sembra destinato a cambiare significativamente nei prossimi anni. Le nostre istituzioni, anche all’interno del nuovo quadro normativo, cosa si aspettano dalle Organizzazioni Non Governative? Esiste ancora una specificità delle ONG nella cooperazione allo sviluppo?

Personalmente credo che l’approvazione degli SDGs ed il framework proposto dal FFD ad Addis Abeba abbiano indicano che i ruoli di tutti gli attori dello sviluppo devono evolvere. Le ONG tra questi. Credo che un ruolo importante rimanga per loro nel rafforzamento della capacità delle ONG locali che dovranno prendere un ruolo sempre più prominente. Importantissima, soprattutto con l’auspicato aumento delle risorse dedicate allo sviluppo, è anche l’advocacy per garantire che tali risorse siano effettivamente destinate ad obiettivi di sviluppo. Infine su un piano operativo, credo che ancora non ci siano alternative alle ONG internazionali per operare nei paesi fragili ed in condizioni di emergenze naturali o man-made.

Lei ha operato negli ultimi anni per un’organizzazione di secondo livello delle ONG statunitensi. Può indicarci, a suo parere, tre priorità su cui le ONG dovrebbero lavorare per svolgere al meglio il loro ruolo in questo contesto che cambia.

Una l’ho già indicata precedentemente e si tratta della diversificazione delle fonti di finanziamento. La seconda è l’apertura del dialogo con gli altri attori di cooperazione. Il settore privato prima di tutto è un partner a volte complesso, ma a mio avviso indispensabile, per cui aprire forme di dialogo è importante.


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